
Edificata nel 980 ma distrutta nella lotta tra Guelfi e Ghibellini nel 1028, fu ricostruita solo nel 1256 quando venne ritrovato anche il corpo di San Firmano, santo patrono di Montelupone.
Essenzialmente romanica, si accede all’interno dal portale principale decorato da una lunetta bizantina con cinque figure in altorilievo ricavate su una statua romana ancora visibile nella parte interna della chiesa. Rivolta verso oriente, ha un impianto basilicale a tre navate concluse da absidi circolari con dodici pilastri che sostengono gli archi a tutto sesto. Emblematica l’alta scalinata, costituita da 17 gradini, che conduce al presbiterio dove si può ammirare una lunetta raffigurante la Madonna in trono con Bambino tra San Firmano e San Sebastiano, affrescata da Giacomo di Nicola da Recanati nel 1456.
Sull’altare della cripta è collocata una statua di San Firmano di scuola marchigiana, in terracotta policroma, risalente XV secolo. Ai piedi della statua sono poste le reliquie del Santo. L’altare è sostenuto da un arco e, secondo la tradizione, passandovi sotto dalle sette alle nove volte consecutive, si viene liberati dal mal d’ossa.









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L’ABBAZIA DI SAN FIRMANO
(di don Armando Senigagliesi – in LE VIE DELLA FEDE a cura di Anna Luchetti)
La più che millenaria abbazia di San Firmano è situata nella vallata del Potenza in territorio di Montelupone.
Una pia signora, probabilmente della famiglia Grimaldi, avendo desiderato la presenza di monaci dediti al servizio divino e alla preghiera, nel 986 chiamò Firmano a reggerla con la sua comunità: ne divenne il primo abate.
Nella struttura primitiva esisteva una chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista. Il complesso abbaziale possedeva un cospicuo patrimonio e Firmano ne ottenne la personalità giuridica dall’imperatore Berengario II.
Ha goduto di un lungo periodo di prosperità e splendore. Due documenti del 1248 ci consentono di sapere che in quell’anno nel monastero vivevano 20 monaci e che fu messo a ferro e fuoco dai ghibellini maceratesi, guidati Roberto di Castiglione vicario di Federico II, con gravi distruzioni della chiesa e di altri edifici, e successivo saccheggio di viveri e di tutti i beni.
La Comunità di Macerata fu condannata dal cardinale Ranieri, arcivescovo di Fermo e vicario di papa Innocenzo IV nella Marca anconetana, al completo risarcimento dei danni. Tale sentenza consentì la rifabbricazione dell’intero complesso e in particolare della chiesa che fu dotata di una cripta più spaziosa e idonea a custodire le reliquie di San Firmano. La chiesa assunse così l’attuale aspetto di tre piani, di cui il presbiterio ben elevato sopra la cripta. I monaci, fedeli al loro impegno di promozione cristiana, hanno valorizzato la dignità della popolazione con la cultura, il lavoro e la fede. Vi sono rimasti fino al 1468, quando la comunità si estinse.
L’abbazia, trasformata in commenda, fu ancora ben amministrata da abati commendatari. In seguito ad altre vicende fu data in enfiteusi e poi, per un lungo periodo, fu lasciata in una triste condizione di abbandono. Si deve alla sollecitudine del dotto vescovo Aluigi Cossio di Recanati, nel secolo scorso, l’acquisto della chiesa e dell’attuale casa parrocchiale con i successivi interventi di risanamento e di restauro.
La chiesa, riaperta al culto, fu eretta a parrocchia il 30 ottobre 1938. Oggi rimangono due testimonianze dell’antico splendore di questa abbazia: la devozione a San Firmano e la meravigliosa architettura della chiesa. La facciata, molto semplice e disadorna, ha un bel portale con una lunetta arricchita di cinque figure in altorilievo, ricavate da un tronco di statua, in cui sono presenti motivi di arte bizantina. Al centro il Cristo, come adagiato sulla croce dai quattro bracci quasi uguali, vivo, non sofferente, con la corona regale: è il Cristo che regna sulla croce. Ai suoi lati due figure, di cui una è la Maddalena con in mano il vasetto 20 Interno con presbiterio sopraelevato degli unguenti.
Nel piano inferiore la Santa Vergine in trono con il Bambino, di lato un monaco in atteggiamento di venerazione. L’interno colpisce subito per lo splendore dello stile romanico: i massicci pilastri con archi a tutto sesto e i tre piani; fu rifabbricata sul preesistente impianto bizantino che si manifesta nella navata molto larga, nell’alta e ripida scalinata e nella copertura a capriate. È a tre navate; dodici pilastri sorreggono archi a tutto sesto. Oltre l’armonia di questi, meraviglia l’ampia scalinata. Salendo si accede al piano superiore; si nota nella parete di fronte l’impronta lasciata dalla volta a vela caduta. Nella navata sinistra, ove è rimasta la volta a vela, si può ammirare un bell’affresco del 1400, che ripropone il motivo della lunetta: al centro la Santa Vergine in trono con il Bambino benedicente rivolto verso San Firmano; a sinistra della Vergine il martirio di San Sebastiano. L’affresco, in particolare la figura della Madonna, presenta tratti di grande maestà e bellezza; è attribuito a Giacomo da Recanati. Accanto la tomba della famiglia Galantara, ultima enfiteuta dell’abbazia.
“Sotto la tribuna dell’altare maggiore v’è altra chiesa lavorata alla gotica, e vi si scende per una spaziosa scalinata”: è la cripta, divisa in cinque navatelle, dove colonne e pilastri realizzano uno splendore di armonia e di staticità.
Sull’altare una bella statua di San Firmano in terracotta policroma, attribuita ad Ambrogio della Robbia (1400).
Ai piedi della statua le reliquie del Santo in un’urna d’ottone protetta da una custodia in ferro battuto. L’altare è sostenuto da un arco sotto il quale passano i fedeli per essere liberati dal mal di ossa.
San Pier Damiani, in un’opera scritta prima del 1050, nomina fra i santi vissuti nel suo tempo anche Firmanus Firmensis, sopra le cui spoglie, per i miracoli che gli si attribuivano, era stato costruito un altare su cui si celebravano Divina Misteria.
San Firmano è da tempo immemorabile patrono di Montelupone, che ne celebra la festa l’11 marzo, giorno in cui “migrò a Cristo”.
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